i barboni n. 3

storia di LIDIA

È stata la persona più incredibile che abbia mai incontrato: alta un metro e 50, un caschetto di capelli bianchissimi, uno sguardo che brillava di furbizia, 80 anni circa di età, una vitalità enorme e soprattutto una donna coltissima con la quale si poteva parlare di tutto e anche con un linguaggio ricercato.

 

Lei raccontava di essere stata molto ricca da giovane e personalmente avevo verificato che molte delle cose che mi aveva raccontato erano vere. Una vita vissuta nell'agiatezza, vacanze, viaggi, proprietà immobiliari; diceva di essere figlia o nipote di "Pizzicato", una grande rosticceria che prima era in Piazza Municipio.

Viveva a Pozzuoli, poi dopo il terremoto era andata a Castellammare insieme alla cognata. Morto il fratello, lei e la cognata avevano vissuto sempre insieme. Lidia accudiva la cognata che nel frattempo accusava con l'età problemi di lucidità. Lidia aveva inoltre una sorella con la quale però i rapporti erano pessimi e che non aveva voluto più sentire parlare di lei.

  Lidia aveva vissuto una vita molta tranquilla con la sua casa da accudire: faceva la spesa, cucinava, doveva essere una bravissima cuoca.

Cosa succede nella sua vita? Un giorno Lidia cade, si frattura una gamba, resta in ospedale per più di due mesi e al ritorno trova la sgradita sorpresa che l'assistente sociale aveva provveduto a rinchiudere in istituto la cognata e che anche per lei era stata pensata la stessa cosa.

  Ma lei si ribella: in istituto non ci sarebbe mai andata, e all'età di circa ottanta anni, Lidia, cosa incredibile, va a finire alla stazione. L'istituto è la soluzione più immediata rispetto al problema di chi è anziano ed è da solo a casa; ma il problema è che spesso gli anziani in istituto non ci vogliono andare.
Una volta venni a sapere, nel periodo in cui lei viveva alla stazione, che si era ammalata ed era stata ricoverata in ospedale; da lì l'assistente sociale era riuscita a mandarla in istituto. L'andai a trovare, e Lidia mi supplicò di portarla via, mi disse che lei stava male, non voleva stare in quella struttura. Quella volta non ebbi il coraggio di farlo, ma la volta successiva venne via con me e la riaccompagnai alla stazione.
  Fu un'esperienza traumatica per me. Avvenne l'esatto opposto di quello che io pensavo. Anche per me l'istituto era una soluzione; non che non lo sia in tanti casi; ma mi ero reso conto di assolutizzare le soluzioni; voglio dire che io avevo una soluzione standard per tutte le situazioni. In particolare ero dalla parte di chi pensava: "perché certe persone devono stare per la strada, non sarebbe meglio che stessero in un posto dove alcuni potrebbero prendersi cura di loro, dove avere un piatto caldo, un letto, un tetto?
La risposta non è semplice, è complessa. Ognuno di noi ha un suo bagaglio di esperienze, ha una sua storia particolare: ci sono abitudini diverse, capacità diverse di relazionarsi e caratteri diversi. Per me vedere questa anziana - arzilla ma sempre anziana - preferire la stazione a quello che per me era il necessario e il sicuro, mi fece capire quanto fosse forte la tentazione di voler imporre agli altri il proprio punto di vista, il proprio modo di vivere senza preoccuparsi minimamente di chiedere: "Scusa, ma tu di che cosa hai bisogno? Scusa, ma tu che cosa vorresti veramente?
  Con la presunzione di sapere io cosa poteva servire agli altri. È stata un'amicizia molto bella, era un piacere incontrarla: chiedeva di me, si informava, mi dava consigli. Da esperta di cucina qual era, certe volte stava anche un'ora a parlare di ricette. Spesso si lamentava che il mangiare che i volontari portavano era cucinato male; e si addentrava in spiegazioni dettagliate di come invece si sarebbe dovuto cucinare quel piatto.
Molti dei suoi soldi erano spariti a causa di persone che approfittavano della sua disponibilità e anche del suo bisogno. Per andare a prendere la pensione c'era sempre qualcuno che si offriva e spesso lei tornava a casa con molti soldi mancanti. Lei era una donna molto intelligente ma restava una semplice e una ingenua.
  Negli ultimi tempi, ogni due mesi, l'accompagnavo con la macchina a Castellammare a ritirare la pensione. La prima cosa che lei faceva era di darmi i soldi per la benzina perché non voleva approfittare. Se qualche volta veniva fuori il discorso dell'istituto, lei diceva sempre: "Ma tu mi vuoi far morire? Ma ti rendi conto che lì si muore di solitudine?"

Non si era mai sposata perché pur avendo avuto molte persone che le facevano la corte non si era mai innamorata veramente, né lei si sarebbe mai sposata tanto per farlo. Era una che teneva banco, una gran chiacchierona, una grandissima dignità anche mentre si grattava per il prurito causato da una igiene poco curata per ovvi motivi; ma quando veniva in macchina con me, si faceva trovare tutta ordinata e con abiti puliti. Le avevo anche dato il numero di telefono del mio ufficio, non se lo era scritto, lo ricordava a memoria e in casi particolari mi chiamava.