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Libro del Qoèlet
 
 

Martedì 9 marzo

Qoèlet 7,1-10. Contro il pessimismo

 

 

 
 

Un buon nome è preferibile all'unguento profumato e il giorno della morte al giorno della nascita. È meglio andare in una casa in pianto che andare in una casa in festa; perché quella è la fine d'ogni uomo e chi vive ci rifletterà. È preferibile la mestizia al riso, perché sotto un triste aspetto il cuore è felice. Il cuore dei saggi è in una casa in lutto e il cuore degli stolti in una casa in festa.

Meglio ascoltare il rimprovero del saggio che ascoltare il canto degli stolti: perché com'è il crepitio dei pruni sotto la pentola, tale è il riso degli stolti. Ma anche questo è vanità. Il mal tolto rende sciocco il saggio e i regali corrompono il cuore. Meglio la fine di una cosa che il suo principio; è meglio la pazienza della superbia. Non esser facile a irritarti nel tuo spirito, perché l'ira alberga in seno agli stolti. Non domandare: "Come mai i tempi antichi erano migliori del presente?", poiché una tale domanda non è ispirata da saggezza.

 
 

Qoèlet, nel capitolo precedente ha criticato severamente le “molte parole” (6,11) che non fanno che aumentare il “soffio di vento” (hebel), lo smarrimento e l’incertezza. Forse si riferiva alla convinzione dominante secondo cui le azioni buone producono felicità e quelle cattive sventura o, nella versione religiosa, Dio punisce i malvagi e premia gli onesti. Qoèlet contesta questa sapienza che si esprimeva attraverso alcuni proverbi popolari. Il primo riguarda la buona fama: “meglio un nome che olio buono” (v. 1).

Nessuna ricchezza eguaglia la buona reputazione. In questo senso è meglio il giorno della morte rispetto a quello della nascita perché il “buon nome” non lo si eredita, lo si conquista. Il secondo proverbio (v. 2) sostiene che è meglio andare in una casa colpita da dolore piuttosto che in quella dove si fa festa. È a dire che si impara più dai dolori che dai successi. Il terzo proverbio (v. 3) afferma che è meglio soffrire che ridere. Solo un volto sofferente ha in verità un cuore buono perché il dolore insegna la sapienza. Il quarto proverbio dice che è meglio ascoltare il rimprovero del saggio che il canto dello stolto (v. 4).

Il saggio capisce che il mondo va verso la morte e può quindi conoscere la verità della vita, mentre lo stolto è superficiale. Secondo il quinto proverbio (v. 5) siamo tutti stolti, ossia illusi ottimisti ai quali s’adatta il rimprovero del saggio più che gli elogi del¬lo stolto. In verità, tutto ciò è “vanità” (v. 6). Questi proverbi non sono espressione di vera sapienza, perché non nascono da chi ha “cuore”, ossia una mente libera e serena. Costoro parlano sotto la pressione di eventi dolorosi; e il dolore distorce la capacità di giudizio: “l’oppressione rende stolto il saggio e corrompe il suo forte cuore” (v. 7). Chi è rassegnato e non spera più che sia possibile cambiare le cose giunge a dire: è “meglio la fine di una cosa che il suo principio” (v. 8a). A costui Qoèlet obietta con un proverbio tradizionale: “Meglio la lunghezza del respiro che l’altezza del respiro” (v. 8b). Il “respiro corto” è segno di impazienza, di agitazione e di angoscia. Il respiro “alto” invece indica l’arroganza, che è una forma di disperazione verso il presente e il futuro.

Qoèlet sceglie per il “respiro lungo” che non si fissa ossessivamente sul presente indesiderabile ma è capace di umile attesa e di pazienza. Non è saggio perciò lamentarsi e addolorarsi continuamente per come va il mondo, perché “l’ira abita nel petto degli stolti” (v. 9b). Lo stolto piange continuamente sulla cattiva sorte del mondo, non riesce a vedere che mali e cattiverie, e si augura che tutto finisca presto, perché “meglio la fine di una cosa che il suo inizio” (v. 8a). Qoèlet contesta i nostalgici del passato. Costoro, sempre pronti a recriminare sul presente, si rifugiano nel rimpianto di un’età dell’oro ormai passata.

Non è saggio chiedersi se i tempi antichi erano migliori del presente, magari rifugiandosi in un futuro non ancora presente. Il sapiente sa cogliere l’oggi della propria esistenza.