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Libri storici - 1° Re
 
 

Giovedì 16 aprile

1 Re 17,1-6. Elia nutrito dai corvi
   
 

Elia, il Tisbita, uno degli abitanti di Galaad, disse ad Acab: "Per la vita del Signore, Dio di Israele, alla cui presenza io sto, in questi anni non ci sarà né rugiada né pioggia, se non quando lo dirò io".

2 A lui fu rivolta questa parola del Signore: 3 Vattene di qui, dirigiti verso oriente; nasconditi presso il torrente Cherit, che è a oriente del Giordano. 4 Ivi berrai al torrente e i corvi per mio comando ti porteranno il tuo cibo".

5 Egli eseguì l`ordine del Signore; andò a stabilirsi sul torrente Cherit, che è a oriente del Giordano. 6 I corvi gli portavano pane al mattino e carne alla sera; egli beveva al torrente.

 
 

Il nome di Elia, che significa “Jahve è il mio Dio”, riassume l’intera vita del profeta. Egli è un uomo di Jahve. E lo è stato in un momento in cui la crisi religiosa aveva raggiunto il suo culmine: il popolo d’Israele non solo si era allontanato dalla fede ma aveva scelto di seguire anche altri idoli. Il re Acab, spinto dalla moglie Gezabele, principessa fenicia, aveva sostenuto il culto di Baal dedicandogli un santuario nella capitale e promuovendo una campagna contro lo jahvismo sino all’uccisione di profeti.

In questo contesto drammatico il Signore manda Elia. Egli appare all’improvviso, senza preannunzio. Non è chiamato profeta ma afferma di stare alla presenza di Dio e decreta la siccità sulla base della propria autorità. Potremmo dire è forte solo della sua parola. Ma tale forza gli viene dall’obbedienza immediata e totale alla parola di Jahve.

È solo con la forza della Parola di Dio che Elia può sfidare il baratro di incredulità nel quale è precipitato Israele. Il compito di Elia appare in un momento cruciale per la storia d’Israele, pari forse a quello di Mosè. Forse per questo ha rappresentato il profetismo accanto a Mosè che rappresenta la Legge (Mc 9,4). Elia proclama una forte siccità sulla regione: “In questi anni non ci sarà né rugiada né pioggia, se non quando lo dirò io” (v. 1). È il segno della lotta di Jahve contro Baal, ritenuto il dio della pioggia dagli stessi israeliti. Il profeta inizia la sua lotta in maniera diretta contro tale idolatria.

Egli conosceva la fede riportata dal Levitico: “Se non mi ascolterete e non metterete in pratica tutti questi comandi; se disprezzerete le mie leggi e rigetterete le mie prescrizioni... manderò contro di voi il terrore, la consunzione e la febbre che vi faranno languire gli occhi e vi consumeranno la vita. Seminerete invano il vostro seme: se lo mangeranno i vostri nemici... Spezzerò la vostra forza superba, renderò il vostro cielo come ferro e la vostra terra come rame.

Le vostre energie si consumeranno invano. poiché la vostra terra non darà prodotti e gli alberi della campagna non daranno frutti” (Lv 26,14-20). Elia, durante questo terribile flagello, viene inviato dal Signore nelle gole del torrente Karit. Quel luogo più che un rifugio rappresenta il ritirarsi in disparte, lontano dalle preoccupazioni ordinarie, per lasciare che il Signore trasformi il cuore dei discepoli per crescere nella sapienza. Non è caso che nella Vita di Antonio, che avrà un influsso notevole in oriente e in occidente, Elia è l’archetipo del monaco che dedica tutta la sua vita al Signore e da lui sarà sostenuto in tutto. Il profeta, come il discepolo, viene nutrito da Dio.

Il testo scrive che “i corvi gli portavano pane al mattino e carne alla sera” (v. 6); possono apparire una presenza strana visto che il Levitico li elenca tra gli animali impuri (11,15), e tuttavia sono essi che portano il cibo al profeta. Ciò che può apparire inadatto è scelto da Dio per sostenere i suoi figli. Anche la povera vedova di Zarepta, una straniera, sosterrà Elia. L’amore del Signore si serva di tutto pur di aiutare e sostenere i suoi figli.