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Seconda Lettera di Pietro
 
 

Mercoledì 1 agosto

2 Pietro 2,15-22. Schiavi del male

 

 

 
 

15Abbandonata la retta via, si sono smarriti seguendo la via di Balaam figlio di Bosor, al quale piacevano ingiusti guadagni, 16ma per la sua malvagità fu punito: un'asina, sebbene muta, parlando con voce umana si oppose alla follia del profeta. 17Costoro sono come sorgenti senz'acqua e come nuvole agitate dalla tempesta, e a loro è riservata l'oscurità delle tenebre. 18Con discorsi arroganti e vuoti e mediante sfrenate passioni carnali adescano quelli che da poco si sono allontanati da chi vive nell'errore. 19Promettono loro libertà, mentre sono essi stessi schiavi della corruzione. L'uomo infatti è schiavo di ciò che lo domina.

20Se infatti, dopo essere sfuggiti alle corruzioni del mondo per mezzo della conoscenza del nostro Signore e salvatore Gesù Cristo, rimangono di nuovo in esse invischiati e vinti, la loro ultima condizione è divenuta peggiore della prima. 21Meglio sarebbe stato per loro non aver mai conosciuto la via della giustizia, piuttosto che, dopo averla conosciuta, voltare le spalle al santo comandamento che era stato loro trasmesso.

22Si è verificato per loro il proverbio: «Il cane è tornato al suo vomito e la scrofa lavata è tornata a rotolarsi nel fango».

 
 

L’apostolo esorta i credenti a non soggiacere alle suggestioni del male che subdolamente si insinuano nella vita della comunità cristiana. La via del male è come “la via di Balaam”. Qui la lettera dà un’interpretazione diversa dal racconto biblico del libro dei Numeri (cf. Nm 22-23), dove in realtà Balaam fu tentato dalla ricchezza offertagli dal re di Moab, ma obbedì al Signore, anche se fu l’asina a indicargli la via dell’obbedienza.

Siamo di fronte probabilmente a una tradizione che circolava al tempo dell’autore della lettera, che sottolinea la cupidigia di Balaam che si fa corrompere dal re di Moab. Balaam, che pure doveva parlare nel nome del Signore, secondo la lettera di Pietro fu attratto dall’avidità di accumulare ricchezza per sé e deviò dalla profezia. Fu però svergognato da un’asina che parlò in sua vece riconducendolo sulla via giusta. L’obbedienza alla Parola di Dio impedisce “discorsi arroganti e vuoti”. Infatti, chi non si nutre di essa diviene come delle “sorgenti senz’acqua”. Ogni azione e ogni parola che non nasce da un cuore dedicato all’ascolto del Signore non solo non produce frutto alcuno ma conduce verso la distruzione. La presunta libertà di vivere pensando solo a se stessi è in verità una terribile schiavitù.

E Pietro avverte che ognuno è “schiavo di ciò che lo domina”. Era un principio dell’antico diritto di guerra: il vinto diveniva proprietà del vincitore. Ebbene, il male, il peccato, l’egoismo operano per soggiogare il cuore dei credenti. Chi li lascia vincere ne diviene schiavo. Per questo l’apostolo esorta i credenti a stare attenti e vigilanti per non cadere nelle trame del male. Non basta vivere nella comunità e rispettare i suoi ritmi. In ogni caso non siamo immuni dalla schiavitù del male e del peccato.

Per questo Pietro nota: “Se infatti, dopo essere sfuggiti alle corruzioni del mondo per mezzo della conoscenza del nostro Signore e salvatore Gesù Cristo, rimangono di nuovo in esse invischiati e vinti, la loro ultima condizione è divenuta peggiore della prima”. L’esempio del cane che torna nel suo vomito e della scrofa che si rotola nel fango mostrano la preoccupazione dell’apostolo perché i credenti non si allontanino dall’amore del Signore e dall’obbedienza alla sua Parola, per non restare intrappolati nelle tristi reti del peccato.