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Lettere di Paolo - Galati
 

Sabato 17 maggio

Galati 2,15-21. Il Vangelo di Paolo

   
 

15 Noi che per nascita siamo Giudei e non pagani peccatori, 16 sapendo tuttavia che l`uomo non è giustificato dalle opere della legge ma soltanto per mezzo della fede in Gesù Cristo, abbiamo creduto anche noi in Gesù Cristo per essere giustificati dalla fede in Cristo e non dalle opere della legge; poiché dalle opere della legge non verrà mai giustificato nessuno".

17 Se pertanto noi che cerchiamo la giustificazione in Cristo siamo trovati peccatori come gli altri, forse Cristo è ministro del peccato? Impossibile! 18 Infatti se io riedifico quello che ho demolito, mi denuncio come trasgressore. 19 In realtà mediante la legge io sono morto alla legge, per vivere per Dio. 20 Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me. 21 Non annullo dunque la grazia di Dio; infatti se la giustificazione viene dalla legge, Cristo è morto invano.

 
 

Paolo, dopo aver chiarito il dissidio con Pietro, esprime il senso vero della giustificazione. Per il giudaismo, il tema della salvezza si condensava in questa domanda: come può l’uomo, peccatore, trovare giustificazione al cospetto di Dio? Paolo risponde che la giustificazione non la otteniamo attraverso le opere, ma solo attraverso la morte e la resurrezione di Gesù. Sin da ora il peccatore è trasformato in giusto, perché il peccato è stato cancellato dalla morte di Gesù e l’uomo “vecchio” può lasciare il posto all’uomo “nuovo”. È qui il punto che separa la nuova legge dall’antica. Paolo sa di appartenere, con Pietro e gli altri giudeo-cristiani, allo stesso popolo eletto.

Sa anche che essere “giudei di nascita” comporta vari privilegi che altri non hanno: “l’adozione in figlioli, la gloria e le alleanze, la legislazione, il culto e le promesse”; infine “i patriarchi” e il fatto che “da essi è nato Cristo quanto alla carne” (Rm 9,4). I pagani, invece, non solo non adempiono la legge, ma neppure la conoscono. Aggiunge però, citando liberamente il Salmo 143 (v. 2): “Nessuna carne” è immune dal peccato e “l’uomo non è giustificato” dalle opere della legge. La giustificazione, sia per gli uni che per gli altri, avviene “mediante la fede” in Cristo Gesù.

Paolo risponde all’obiezione di chi insinua che in tal modo “Cristo (apparirebbe) come ministro del peccato”. È un’obiezione analoga a quella degli scribi e i farisei, quando vedevano Gesù “mangiare coi peccatori e i pubblicani”. La risposta di Gesù fu chiara: “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori” (Mc 2,16). Non è il comportamento che salva e neppure una presunta coerenza, peraltro impossibile a noi peccatori; quel che salva è aderire con tutto il cuore al Vangelo e affidarsi totalmente alla misericordia del Signore, che liberamente perdona e giustifica.

Paolo chiede che ciascun credente “crocifigga” il proprio uomo vecchio, ossia il proprio orgoglio e la propria autosufficienza, per vivere secondo il Vangelo, per dipendere totalmente da Dio verso cui non possiamo avanzare alcuna pretesa: tutto è grazia. I credenti debbono, per parte loro, impegnarsi a mettere in pratica il Vangelo e ad avere “gli stessi sentimenti che sono in Cristo Gesù”, sino a poter dire con Paolo: “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me”. L’apostolo nota che Cristo non è morto invano. Se la giustificazione fosse possibile mediante la legge, anche la morte di Cristo non sarebbe stata necessaria, e quindi sarebbe morto invano.