Giovanni Paolo II: primo anniversario
un pastore umile e coraggioso

Il pontificato di Giovanni Paolo II è stato un periodo straordinario dopo i grandi pontificati del Novecento. Sarebbe ridicolo misurare la grandezza dei Papi che si sono succeduti nel XX secolo, ma è certo che le condizioni particolari della stagione di Karol Wojtyla, la sua lunghezza, il cambiamento degli scenari, ne fanno un periodo fuori dall'ordinario.

Si tratta di un pontificato nato in un tempo di crisi e in un clima autunnale: nella Chiesa, nel mondo occidentale, nella relazione tra Est ed Ovest. Gli anni di Paolo VI si concludevano, per i più, con un bilancio negativo per il cattolicesimo (anche se, a mio avviso, c'erano vari segni di rilievo). L'Europa occidentale era in perdita di velocità. La distensione avrebbe passato anni difficili, mentre l'Est sovietico appariva forte. In questo quadro Giovanni Paolo II, eletto Papa, guardava lontano, al passaggio di millennio. Due tempi del Novecento erano per lui i riferimenti maggiori: la Seconda Guerra Mondiale e il Concilio Vaticano II.

Bisognava superare l'eredità della Seconda Guerra Mondiale. Questo voleva dire rimettere in discussione la rigidità di Yalta con una visione dell'Europa dall'Atlantico agli Urali. Quando Giovanni Paolo II lo propose agli inizi del pontificato, appariva un utopista. La realtà ha mostrato come sapesse cogliere le correnti della storia. Infatti questo Papa ha avuto una particolare sensibilità per la geografia del profondo, spesso più forte delle rigidità statuali, talvolta capace di travolgere i sistemi. Aveva colto la fragilità del mondo granitico dell'Est sovietico.

Ma soprattutto il Papa aveva chiaro che, dopo il 1945, bisognasse superare la guerra come strumento per risolvere i conflitti. Fin da giovane Karol Wojtyla aveva orrore della guerra, percepita come un'espressione del male nella terra degli uomini.

Non è stato un pacifista d'occasione, ma un convinto assertore della pace e dei metodi pacifici. Cosi, per l'Est europeo come per il Cile o le Filippine, ha sempre sostenuto la necessità di una transizione pacifica per rovesciare regimi autoritari e impopolari. L'eredità della Seconda Guerra Mondiale andava rifiutata non solo con il superamento della guerra fredda, ma della stessa guerra. Aveva dichiarato sul colle di Assisi con uno sguardo alla testimonianza di san Francesco: la pace attende i suoi artefici. Sapeva bene, per storia personale, che anche nel tempo in cui infuria la guerra i cristiani non rinunciano mai a pregare per la pace e a operare per essa.

Il Vaticano II era l'altro riferimento del passato. Il Papa l'aveva vissuto da Vescovo. Aveva applicato con attenzione il Concilio nella sua diocesi. Divenuto Papa, ne aveva fatto il suo programma, interpretato originalmente con la sua personalità carismatica e con la sua capacità di leggere la storia. La Chiesa del Concilio non era per lui una comunità ripiegata su se stessa, in preda ai dibattiti interni magari sulle strutture; ma una comunità che riscopriva le sue fonti e il suo vero motivo di essere, mentre si dava generosamente alla missione del Vangelo. E Giovanni Paolo II ha voluto essere interprete di questa missione con la sua presenza e la sua parola, con i suoi viaggi ovunque gli fosse possibile.

Fin dall'inizio, questo pontificato, che faceva i conti con l'eredità del Concilio e con il lascito doloroso della guerra, aveva una meta verso cui tendere: la fine del secondo millennio dell'era cristiana. Il Papa veniva da una Chiesa, quella polacca, che aveva celebrato il primo millennio del suo battesimo come un'occasione di grande rinnovamento. Per lui il Grande Giubileo non era un appuntamento formale. Lo avrebbe accompagnato con due importanti documenti e con un impegno tutto particolare. Sarebbe stata l'occasione per dire come la Chiesa non rinunciava a credere al futuro della missione del Vangelo nel mondo.

Andando verso il 2000, c'è una cesura che attraversa il pontificato: l'89 con la fine del mondo sovietico. Divide il tempo di Giovanni Paolo II in due stagioni: quella dal 1978 al 1989 e quella successiva. L'89 riguarda l'Europa, ma non solo. La liberty nell'Est offre alla Chiesa un quadro nuovo di vita (con i nuovi problemi che emergono dal consumismo). Ma l'89 porta con sè anche la fine del cosiddetto Terzo Mondo, dopo che non esiste più uno spazio intermedio tra l'impero dell'Est e quello dell'Ovest. Questo riguarda in particolare l'Africa che cade ai margini dell'orizzonte internazionale. Giovanni Paolo II ha dedicato tante energie al mondo del Sud, come si vede dalle sue visite a molti Stati, anche minori. Pur consapevole che l'Europa restasse vitale per il futuro del cristianesimo, il Papa ha mostrato una Chiesa amica dei paesi a dei popoli che contano poco nella storia.

Giovanni Paolo II ha intuito come i mondi religiosi diventassero progressivamente rilevanti nella vita dei popoli e nelle relazioni tra loro, nonostante che la cultura occidentale in genere prevedesse una secolarizzazione ovunque vincente. Non si doveva aspettare l'11 settembre 2001 perchè il Papa indicasse nel rapporto con l’islam un problema prioritario per la Chiesa. Da sempre voleva visitare il mondo musulmano, ma aveva potuto compiere un atto di rilievo solo in Marocco con il re Hassan, prima dei più recenti viaggi in Egitto e Siria.

Un'altra realtà che il Papa ha sempre più indicato come decisiva per il cattolicesimo è stata l'Asia, dove la Chiesa è fortemente minoritaria con l’eccezione filippina. Si interrogava sul «successo» cattolico in Corea, ma anche sulla cultura religiosa Indiana con il suo carattere «inclusivo». Infine pensava se non potesse venire dall'Indonesia e dal suo panchasila(1) una via per comporre islam e libertà religiosa. Naturalmente la Cina (mai visitata dal Papa) restava un grande mondo all'orizzonte. Così, nei suoi pensieri e nella sua preghiera, abbracciava il mondo.

All'inizio del pontificato di Giovanni Paolo II, alcuni commentatori facevano notare il carattere pronunciatamente polacco della sua personalità. È vero che il Papa non ha mai inteso snazionalizzarsi. Ma il suo percorso verso l'universalità è stato evidente: desiderava conoscere i diversi popoli del mondo e abbracciare tutte le terre. Per lui, ogni popolo aveva una sua personalità, per piccolo che fosse. Così ha mostrato di soffrire per guerre che magari toccavano solo marginalmente i cristiani. Anzi ha chiesto di evitare la strage di musulmani nei Balcani. È stato un uomo universale, come - mi sembra - non si sono visti nel Novecento. La sua universalità aveva salde radici nella fede e nella preghiera, da cui germinava un grande desiderio di incontrare gli uomini e una disponibilità a loro.

Infatti quest'uomo dalle grandi visioni, vero credente, figura universale, è stato molto personale. È nota la sua fedeltà all'amicizia. È noto anche come credesse all'incontro con i singoli, nel guardare in faccia la gente e nel farsi guardare. I suoi tanti incontri e le sue molte udienze erano occasione per dire che il Papa era con tutti. Credeva nel contatto personale. E voleva ascoltare il maggior numero di gente possibile. Infatti, nonostante la grande esperienza del mondo e la sua ricca cultura, Giovanni Paolo II è stato un uomo umile: chiedeva, non era convinto di capire tutto e di sapere più degli altri, anzi si sapeva ancora stupire delle risposte, gia anziano e protagonista della storia.

Il suo è stato il pontificato di un pastore coraggioso. Ha capito, fin dal 1978, che un grande problema dei cristiani era proprio la paura. Bisognava trovare la forza autentica della fede. Giovanni Paolo II non ha temuto di scontrarsi contro poteri forti o con le culture imperanti. Ha messo anzi in conto di essere oggetto di violenza (come è avvenuto), senza indulgere particolarmente alle misure di protezione verso la sua persona. Ha insegnato con fedeltà la vera fede senza cedere alla compiacenza per l'opinione pubblica, dando indicazioni autorevoli ai fedeli cattolici. Non è mai stato accondiscendente, anche se molto compassionevole. Ha avuto sempre tenerezza per le persone e una grande simpatia per ogni esistenza umana.

E’ stato un uomo forte e simpatico (per utilizzare questa parola nel significato più profondo). Infatti non è stato un capo o un leader, consumato dal logorio del potere o dei media. Il pontificato di Giovanni Paolo II appare come il lungo passaggio di un pastore, umile e coraggioso attraverso anni complessi. La gente si è radunata attorno a lui anno dopo anno, mentre la sua popolarità cresceva raggiungendo un livello mai toccato da nessun Papa. Non era l'uomo della televisione che si affermava, ma il pastore di tanti. Alla fine, al momento della morte e del funerale, i cristiani (e non solo), hanno sentito di doversi far vicini a colui che aveva raccolto, cercato, interpellato tanti.

Andrea Riccardi

(1) Con il termine PANCHASILA si indicano i cinque precetti che regolano la condotta morale dei buddisti: non uccidere esseri viventi, non rubare, non commettere atti impuri, non mentire, non consumare bevande inebrianti. A questi cinque che costituiscono la PANCHASILA, se ne aggiungono altri cinque che valgono sopratutto per i monaci e cioè: non mangiare cibo nei tempi non dovuti, astenersi dal canto, non usare sedili alti e lussuosi, non adoperare letti grandi e confortevoli, non commerciare cose d'oro e d'argento.